L’8 marzo e Mary Anning

Mary Anning (1799-1847)

E insomma, ogni 8 marzo si discute sempre molto, ma poi alla realtà dei fatti le cose non cambiano mai, o cambiano con una lentezza esasperante.

Quando mi chiedono come mai ho dedicato la prima sezione di “A cosa pensava Darwin?” a un gruppo di scienziate, la risposta è sempre quella: perché se lo sono meritato. Perché per ottenere lo stesso risultato, lo stesso prestigio, la stessa notorietà degli scienziati uomini hanno dovuto faticare di più, affrontando più avversità, dovendo spesso combattere anche la semplice indifferenza. E il tutto a parità di competenze e dedizione.

Ma il caso di Mary Anning è forse ancora più eclatante. Chi è appassionato di cose di scienza conosce già la sua storia, per tutti gli altri faccio un brevissimo riassunto.

Mary Anning vive a Lyme Regis, nel sud dell’Inghilterra, nelle prime decadi del XIX Secolo. Nasce in una famiglia di umili origini, figlia di un carpentiere che muore quando lei ha solo 11 anni. Per buona parte della sua vita è costretta a fronteggiare gravi difficoltà economiche. Di dieci fratelli, lei è l’unica a sopravvivere insieme a Joseph, suo fratello minore. Gli altri muoiono tutti prima di raggiungere l’età adulta.

Lyme Regis è una località costiera che attira turisti dall’entroterra. Gli strati rocciosi che si affacciano sulla scogliera nascondono piccoli tesori, provenienti da un lontano passato. E infatti l’attività di Mary è quella di raccogliere, ripulire e rivendere ai turisti i fossili più belli. La passione le è stata tramandata dal papà, che accompagnava, quando ancora era bambina, a caccia di quei reperti che avrebbero garantito un piccolo reddito extra alla famiglia.

William Buckland (1784-1856)

Mary sviluppa con gli anni un enorme talento nella paleontologia e diventa una piccola celebrità, così come il suo negozietto di fossili a Lyme Regis. Quando Joseph scopre i resti di un gigantesco ittiosauro, un rettile marino vissuto ai tempi dei dinosauri, è Mary a pulire, preparare ed esporre al pubblico il meraviglioso ritrovamento, che attrae scienziati e curiosi da ogni angolo dell’Inghilterra. Stringe una forte amicizia con lo scienziato William Buckand, geologo e uomo di chiesa, che si rivolge spesso a lei per chiederle a quale animale del passato appartenga questa vertebra o quella costola. Ben presto gli scienziati più noti del paese fanno riferimento a Mary per il riconoscimento o la preparazione di fossili. E tra questi anche il giovane Richard Owen, che diventerà il deus ex machina del Museo di Storia Naturale di Londra e lo scienziato politicamente più potente della nazione.

Ciononostante, Mary muore di malattia a neanche cinquant’anni, nella miseria che l’ha accompagnata per buona parte della vita. Questo perché, senza giri di parole, era una donna, per giunta di umili origini. E in quegli anni alle donne non era permesso accedere ai salotti scientifici. Non vedrete mai un articolo scientifico a nome suo, non una specie fossile la cui scoperta si possa attribuire a lei.

E questo nonostante una discreta notorietà (parlò di lei anche Charles Dickens), e la stima e il rispetto di tutta la comunità scientifica. Non sono bastati libri, documentari, persino film ispirati a Mary Anning per vedere riconosciuto il suo talento scientifico. Se sentite parlare di coproliti, le feci fossili (sì esatto, cacche fossili), vedrete che il primo a parlarne fu Buckland. Ma il merito della scoperta fu di Mary, non del suo amico scienziato. Fu lei a fargli notare in che parte del corpo si trovavano solitamente quei resti, qual era la loro natura e la loro importanza nel far capire comportamento e alimentazione degli animali del passato. Ma se oggi si parla di coproliti, sembra che a scoprirli fu Buckland. Il perché lo sapete.

Coprolite

Se vogliamo parlare di riconoscimenti scientifici, in vita Mary Anning non ne ricevette uno. Di postumo ci fu un premio, da parte della Royal Society, che la identificò come una delle dieci donne inglesi che maggiormente contribuirono al progresso della scienza. Questo venne assegnato nel 2010, ossia 163 anni dopo la sua morte. Centosessantatré. Ecco, se i tempi di attesa sono questi, forse non è cambiato molto nel modo in cui le donne vengono trattate nel mondo scientifico (e non solo) dai tempi della regina Vittoria. E magari è arrivato il momento di fare le cose un po’ più alla svelta.