Ultima tappa: Min Hang!

Spulciando tra le migliaia di foto che ho scattato in questi mesi in giro per la Cina comincio veramente a realizzare quanto questo viaggio insieme ad Agorà sia stato lungo e variegato. Quelle tipiche reazioni di incredulità del tipo “ma veramente sono stato in questo posto?”, “ma davvero ieri ero lì?”, “non mi ricordavo quanto bello fosse quel paesaggio” di fronte alla miriade di immagini di città, campagne, paesi e volti della Terra di Mezzo che ho immortalato mi fanno realizzare come, tra le tappe al seguito della mostra e le deviazioni sul percorso, abbia visto una quantità di luoghi che, per soli cinque mesi scarsi di peregrinare,  è davvero notevole.

Ciononostante, la lunghezza di questo viaggio ancora di più mi aiuta a realizzare quanto infinitamente grande sia l’Impero Celeste e quanto poco di esso sia riuscito a vedere. Uno dei pochi libri che mi hanno accompagnato durante questa avventura è stato La Cina in vespa del compianto Giorgio Bettinelli, regalatomi il giorno prima della partenza. Il celebre Mr.Vespa, dopo aver girato il mondo più volte a bordo della sua due ruote, si era sposato con una donna cinese e si era stabilito a JingHong, nella regione meridionale dello Yunnan, dove aveva vissuto per un paio di anni prima di intraprendere l’ennesima avventura raccontata in questo libro: un viaggio in vespa di quarantamila chilometri, durato 18 mesi e che aveva toccato tutte e 34 le provincie e municipalità della Cina. E lui stesso nel corso della narrazione, dopo più di 4 anni trascorsi al suo interno, affermava di cominciare a malapena a capirci qualcosa di questo immenso punto interrogativo che è rappresentato dalla Cina moderna; figuriamoci io, che in pochi mesi ne ho visto poco più che un assaggino. Bettinelli purtroppo è scomparso tre anni fa a causa di un malore durante la preparazione di un altro grande viaggio in vespa, questa volta in Tibet. Chissà che meraviglia sarebbe stato. Rest in Peace Mr. Vespa, e grazie per avermi fornito l’unica vera, completa ed affidabile guida turistica che abbia usato durante questi mesi di permanenza nel meraviglioso paese che tu amavi così tanto.

Queste sono le tipiche riflessioni che il viaggiatore comincia a fare quando sente avvicinarsi sempre più il giorno del ritorno a casa e degli addii (ma più probabilmente degli arrivederci) ed in effetti tutto questo è assolutamente naturale dato che da alcuni giorni Agorà ha raggiunto la sua ultima tappa, ovvero il Min Hang district di Shanghai.

   

Con i suoi due milioni e mezzo di abitanti e le sue dimensioni da città europea medio-grande, Min Hang è un quartiere popolare che si estende a sud dell’area urbana della megalopoli, ed è ben diverso dalle sue zone più commerciali e moderne: niente grattacieli, niente centri commerciali o boutiques di Zara, niente turisti, tantomeno occidentali. A Min Hang si trovano soprattutto case popolari, scuole, sedi universitarie e campi sportivi; e proprio in un centro dedicato principalmente ad attività sportive ed in generale ad eventi per i più giovani che Agorà viene ospitata nella sua ultima tappa, all’undicesimo piano di un palazzo il cui lunghissimo nome eviterò di tradurvi, circondato da campi da calcio a 11, basket, tennis, badminton nonché piscina olimpionica. “Mostra con vista” verrebbe da dire, dato che dall’undicesimo piano si può godere di un panorama splendido, trovandosi nel palazzo più alto della zona, dal quale si possono vedere i tetti rossi tipici delle vecchie case di Shanghai che si ripetono per chilometri e chilometri in tutte le direzioni; un’altra definizione calzante potrebbe essere “mostra allegra”, dato che si trova di fronte ad un asilo nido, a poche centinaia di metri da alcune scuole elementari, e lungo Gaoxin lu, letteralmente “la via felice”!

E di certo l’inizio è stato molto più che felice: soliti lavori di allestimento, solita cerimonia di apertura presenziata dalle autorità della SAST (come sempre cordiali e alla mano) e dai rappresentanti del quartiere di Min Hang, solito pubblico delle occasioni che contano, in questo caso un nutrito gruppo di pensionati provenienti da un centro per le attività della Terza Età poco distante dalla nostra location, che hanno reso divertente e giocosa (ma per fortuna tranquilla!) la giornata di apertura.

              

Nei giorni successivi, nonostante la difficoltà nel raggiungere la location dal centro città (poche linee di autobus e circa 20 min a piedi dalla più vicina fermata della metro) che mi aveva fatto dubitare in grandi afflussi di pubblico, la mostra è stata spesso visitata da gruppi, ma forse il termine ‘orde’ è più adatto, di centinaia e centinaia di bambini provenienti dalle scuole adiacenti, che da un lato ci hanno dato grande soddisfazione confermando il successo delle tappe precedenti, dall’altro hanno reso tutt’altro che leggere e rilassanti le ultime giornate di lavoro, con exhibits fuori uso da riparare, pezzi da sostituire, grandi gruppi di persone da gestire. Giorni divertenti e faticosi ma a conti fatti anche gli ultimi del tour, quindi tutto sommato va bene così, bisogna solo tener duro fino alla fine.

Il conto alla rovescia prima della partenza è cominciato e visto che ormai rimangono pochi giorni di mostra e poi ci sarà un disallestimento da fare ed un container da riempire per il ritorno in Italia di Agorà, bisogna sfruttare questi giorni per visitare gli ultimi angoli remoti di Shanghai ancora non visti; tra questi c’è il mercato tradizionale di Qi Bao road  con le sue lanterne rosse, le basse case tradizionali, i negozi di souvenir, le tea houses, i canali solcati da imbarcazioni a remo, i negozi alimentari all’aperto e l’acre odore di tofu fritto e spiedini alla brace che intorpidisce le narici e ti fa finalmente provare quelle sensazioni di Cina autentica che nel resto di Shanghai sono diventate sempre più rare con l’avvento di centri commerciali e grattacieli. Questo “piccolo mondo antico” si può vedere bene all’ingresso della water town, dove una statuetta a forma di porcellino in mezzo ad uno stagno viene presa di mira dal lancio delle monetine dei passanti: ovviamente per chi centra la schiena aperta a mò di salvadanaio ci sarà un po’ di fortuna extra nella vita. Allo stesso modo qua e là in giro per gli specchi d’acqua e i parchi di tutta la Cina si possono vedere bocche di drago, vasetti, salvadanai o anche ranocchie con la bocca spalancata, tutti bersagliati da migliaia e migliaia di monetine, a dimostrare che quel piccolo vecchio mondo delle superstizioni e dell’ingenuità popolare è rimasto tutto sommato intatto nonostante secoli di cambiamenti politici ed economici e questi ultimi anni di sfrenata modernizzazione.

      

Prima di concludere salto di palo in frasca per sfatare un paio di miti gastronomici cinesi su cui molti si interrogano: intanto se gli involtini primavera e le nuvole di drago qui esistano davvero oppure siano solo una creazione per i ristoranti cinesi in Occidente. Ebbene sì, esistono anche in Cina, sebbene non siano così diffusi come verrebbe da pensare e soprattutto hanno origini regionali ben definite essendo diffusi principalmente nel sud del paese, in particolare nella zona di Guangzhou (Canton), i cui piatti sono l’unico tipo di cucina cinese conosciuto in Occidente. L’abitudine di utilizzarli come antipasto è invece più occidentale: in Cina gli involtini primavera sono mangiati per lo più a colazione, mentre le nuvole di drago spesso fanno da contorno o addirittura da semplice abbellimento ad altri piatti. L’altro mito gastronomico sui cinesi dice che questi mangino il cane regolarmente: ebbene, in cinque mesi di permanenza e dopo aver pranzato in qualche centinaio di ristoranti e locali sparsi da nord a sud del paese non ne ho visto uno solo che avesse sul menù un piatto che, laddove esistesse, vien facile pensare sia un’attrattiva per qualche turista voglioso di raccontare “ho mangiato il cane, ho mangiato il cane!” una volta tornato a casa. In effetti a tal proposito il mio amico Tim si è detto sorpreso del fatto che fossi l’unico occidentale con cui avesse  lavorato negli ultimi anni a non avergli chiesto di un ristorante dove mangiare il cane, e mi ha detto di conoscerne soltanto uno fuori Shanghai, una città di 30 milioni di abitanti, giusto per far capire quanto sia diffusa questa ‘abitudine’ che peraltro, è bene precisarlo, è stata diffusa per secoli in varie parti del mondo e non soltanto in Cina.

(AGGIORNAMENTO del 30 settembre: oggi è nuovamente uscito fuori il discorso, e a quanto pare c’è una via in Shanghai dove si possono trovare alcuni locali che servono il cane… con la precisazione che si tratta di ristoranti coreani gestiti da immigrati coreani e all’interno del quartiere coreano!)

C’è decisamente poco altro da aggiungere, bisogna solo prepararsi fisicamente per gli ultimi giorni di duro lavoro e psicologicamente per l’addio alla Cina e il rientro in aereo, che avverrà solo dopo la partenza del container con gli elementi della mostra; nel frattempo bisognerà cominciare a fare mente locale e a stilare una –lunghissima- lista di ringraziamenti per tutte le persone coinvolte in questa meravigliosa avventura cinese a cui dovrò dedicare il prossimo post, l’ultimo scritto in terra d’Oriente. E forse sarà questo, molto più che exhibits da smontare o containers da caricare, a rivelarsi il compito più arduo da svolgere prima della partenza.

Zaijian,

fonso

Note suonate, note scritte, note sparse.

Da qualche mese a questa parte un magico mondo di suoni, note e armonia mi circonda: la musica cinese tradizionale ha in sé una magia e una bellezza ineguagliate e ineguagliabili. Le particolarità dei suoni e dei timbri degli strumenti, la costruzione di scale e accordi, le atmosfere magiche e sognanti rendono le armonie della Terra di Mezzo riconoscibili tra mille altre.

Anche Agorà, nel parlare delle conoscenze e della cultura del mondo antico, non poteva certo escludere una dottrina fondamentale come la Musica ed ecco che, in mezzo ad exhibits che parlano di Matematica, Fisica e Ingegneria antica, spunta all’improvviso una chitarra molto particolare.

Creato da Pitagora e conosciuto col nome di monocordo, questo strumento particolare mette in relazione la tonalità delle note suonate con la lunghezza della corda che le emette. In realtà nonostante il nome la ‘chitarrina pitagorica’, come viene spesso chiamata, non ha una ma due corde accordate alla stessa tonalità.  Un paio di indicatori segnalano l’esatta metà e i due terzi della lunghezza della corda, corrispondenti all’ottava  e alla quinta giusta: nel primo caso, se la corda a vuoto è un DO, bloccandola a metà si ottiene un DO più alto dell’ottava successiva, mentre nel secondo si ottiene un SOL. Per verificare ciò  si possono suonare in contemporanea la corda a vuoto insieme all’altra, bloccata però ad una lunghezza predefinita, ottenendo dei mini-accordi che suonano armoniosamente solo quando la lunghezza della parte bloccata è corretta.

Questo strumento ha fatto la sua prima comparsa al Festival della Scienza alcuni anni orsono nel corso della mia mostra ‘Physix’n’roll’, nella versione ‘festival in Liguria’ a Sanremo: oh, sì, ho fatto proprio il Festival – della Scienza però – a Sanremo! Durante la mostra veniva spiegato proprio come dagli strumenti a corda (monocordo in primis, ma in seguito tutte le sue evoluzioni) si suppone sia nata la definizione esatta delle note musicali, e, molto più in seguito, un sistema di notazione fisso e universale. Un approfondimento su questi argomenti si può trovare nel ‘manuale’ che ho scritto per Physix’n’roll, scaricabile da questo indirizzo.

 

Il motivo per cui la musica cinese appare così affascinante alle orecchie degli ascoltatori occidentali è facilmente identificabile: gli strumenti musicali della tradizione cinese hanno suoni leggermente diversi rispetto a quelli occidentali, pur essendo riconducibili alle stesse ‘famiglie’: chitarre e chitarrine, violini e viole, arpe, percussioni, flauti dritti e traversi. Il suono e le scale che di solito vengono utilizzate nelle frasi armoniche sono però leggermente diversi ed è questo che rende le loro melodie così affascinanti. Essendo anch’io musicista sto cercando di ascoltare ed assorbire quanta più musica cinese sia possibile, nella speranza di metabolizzarla e poterla poi riutilizzare nelle mie creazioni. In tal senso sto progettando l’acquisto di un Jinghu, un piccolo violino a due corde con una piccola cassa di risonanza cilindrica ricoperta da una membrana di pelle di serpente. Le frasi soliste della musica tradizionale spesso vengono dal suono squillante di questo strumento, che è tanto piccolo di dimensioni quanto potente nel volume.

   

Nella tradizione dei musicisti ambulanti poi questo strumento è diffusissimo, anche se non è l’unico: spesso si trovano cantanti che si esibiscono direttamente su basi preregistrate, ma anche bande musicali al gran completo e ogni tanto qualche coro improvvisato in mezzo alla strada da presunti ‘direttori’ dotati di fisarmonica per suonare la base oltre a testi e spartiti da leggere, per tutti i passanti che si vogliano unire ai canti.

   

Oltre alla tradizione c’è anche la modernità: la mia amica Adriana, poco prima di partire per l’Italia (eh già, cinesi che vanno in Italia, italiani che lavorano  in Cina… che mondo rovesciato!), mi ha regalato un paio di cd della 12 Girls Band, un gruppo di ragazze provenienti dai conservatori di tutto il paese, selezionate alcuni anni fa in un concorso in mezzo a migliaia di candidate e tutte virtuose degli strumenti tradizionali, che portano in giro per il mondo brani cinesi ma talvolta anche occidentali, riarrangiati però in uno stile maggiormente moderno e pop rispetto alla tradizione più pura.

Gran parte dei generi occidentali sono arrivati fin qui e sono stati assimilati dai musicisti cinesi: esistono un gran numero di gruppi rock e pop, ci sono i talent shows in tv e i B-boys in giro per strada, esistono l’heavy metal, il punk e persino la musica rap che, per quanto strano possa sembrare, si fonde alla perfezione con i suoni del mandarino. Tanta musica occidentale è arrivata fin qui, anche se principalmente si tratta di artisti mainstream e dell’ultima o penultima generazione: da Lady Gaga ad Avril Lavigne, da Madonna a Michael Jackson. Sulla  roba un po’ più datata le conoscenze sono più limitate, anche se i Beatles, come ovunque al mondo, anche qui li conoscono tutti.

Non esiste però solo l’arte della Musica: alcuni giorni fa sono stato invitato dal nostro amico, il Prof. Sabbatini dell’Istituto Italiano di Cultura a Shanghai, per un incontro di conoscenza e scambio tra Italia e Cina sull’antica arte della Calligrafia a cui hanno partecipato svariati artisti, tra cui alcuni monaci buddhisti che, armati di inchiostro e pennello tradizionale, hanno mostrato in tempo reale ai presenti come nasce un’opera di arte calligrafica cinese. Dal canto nostro, anche per la tradizione europea la bella scrittura era un’arte da coltivare e tramandare, e in rappresentanza dell’Italia erano presenti alcuni splendidi pannelli, creati dallo stesso Sabbatini, con citazioni del missionario Matteo Ricci, un’altra figura fondamentale nella storia degli scambi culturali tra Italia e Cina.

 

 

La Cina ha una tradizione artistica così ricca e varia che non basterebbe una vita intera per riuscire ad averne una visione completa. L’unica cosa che si può fare è essere aperti, ascoltare, leggere, capire e sfruttare nel modo migliore questi ultimi giorni in terra d’Oriente, cercando di assorbire come delle spugne la cultura che ci circonda, per avere un bagaglio di conoscenze arricchito al massimo prima del ritorno a casa, che purtroppo si avvicina sempre di più: siamo ormai all’ultima tappa di Agorà e il rush finale è già cominciato…

Zaijian,

fonso

2011年09月11日 – Shikinsou

L’11 settembre di 10 anni fa un orribile gesto di uomini contro altri uomini creava migliaia di lutti negli Stati Uniti. L’11 settembre del 1973 altre atrocità di uomini contro altri uomini causava migliaia di morti in Cile. Ho trascorso questa giornata di lutto per l’Umanità intera a Nanchino, città che ha vissuto molti anni fa altri crimini compiuti da uomini contro altri uomini.

All’interno del memoriale che ricorda queste atrocità c’è una piccola statua raffigurante una bambina, a fianco ad un grande giardino fiorito. Ogni giorno, da quattro anni a questa parte, in mano alla bambina viene messo un fiore appena colto. Di fianco c’è una targa che racconta di una piccola storia che però è importante, perché è un gesto compiuto da uomini per altri uomini, che ci fa sperare in un futuro migliore per tutti noi. Ecco cosa c’è scritto:

Shikinsou

La traduzione dal giapponese di Shikinsou è “Orchidea di febbraio”.

Nel 1939 Seitaro Yamaguchi, presidente della fabbrica di materiali sanitari dell’esercito giapponese, collezionò i semi del fiore ai piedi della “Montagna Viola” di Nanchino e li portò con sé in Giappone.

Terminato il conflitto, come gesto di riflessione sulle atrocità della guerra e come preghiera per la pace, Yamaguchi e i suoi discendenti si dedicarono per decenni alla coltivazione del fiore in patria e lo chiamarono “Shikinsou”.

Adesso l’Orchidea di Febbraio fiorisce in ogni parte del Giappone, ed è conosciuto come il “Fiore della Pace”.

Quando questo Memoriale venne ampliato nel 2007 l’ottantatreenne Hiroshi Yamaguchi, figlio di Seitaro Yamaguchi, riuscì a raccogliere 10 milioni di Yen di donazioni da ogni parte del Giappone per creare il “Giardino del Shikinsou” al suo interno, come simbolo dell’unione delle preghiere per la pace di Cinesi e Giapponesi.

Hong Kou, Hypatia & the movies

Finito il lungo tour della regione dello Zhejiang tra le città di Hangzhou e Jiaxing, durato oltre due mesi, la mostra Agorà è ritornata laddove era partita ai primi di maggio ovvero a Shanghai, questa volta però nel distretto settentrionale di Hong Kou.

In questo caso i nostri exhibits sui grandi scienziati dell’Antichità sono stati ospitati nel grande centro per la gioventù del distretto e in corrispondenza di un evento chiamato Genius, insieme ad altre mostre sulla Matematica, la Fisica e la storia della Scienza; alcune di queste già le conoscevamo, dato che avevano condiviso con noi gli spazi espositivi a Shanghai Pudong e a Taicang City.

  

Oltre a incontrare altre mostre già conosciute in precedenza, è stato bello ritrovare alcuni amici che ci avevano accompagnato nel primo mese di questa avventura cinese: animatori scientifici, colleghi, operai e anche alcune autorità della SAST (Shanghai Association for Science and Technology) che hanno presenziato con gran simpatia e cordialità alla cerimonia di apertura. Come sempre durante tutto il tour, le autorità locali hanno dimostrato un talento veramente raro nel dimostrarsi ospitali e accoglienti e nel far sentire il nostro lavoro veramente importante e seguito con attenzione.

 

Alla cerimonia di apertura hanno partecipato non solo esponenti di organismi pubblici, televisioni, giornali e visitatori casuali, ma anche gli alunni di alcune classi al primo giorno di scuola, ordinatissimi e in divisa, che però al ‘rompete le righe’ dopo i discorsi di rito e le presentazioni ufficiali si sono lasciati andare come tutti i piccoli visitatori di Agorà in questi mesi, provando, interagendo, sperimentando, giocando.

  

Ancora una volta abbiamo registrato un grande successo di pubblico, forse anche per la brevissima durata dell’esibizione (soltanto una settimana) e, come sempre, un grande livello di interesse nei contenuti della mostra e della storia antica del Mediterraneo, poco conosciuta qui in Cina così come i nomi dei grandi scienziati, autori degli esperimenti e dei teoremi che presentiamo.

    

Ancora una volta gli animatori scientifici si sono rivelati preziosi per rendere gli exhibits chiari e comprensibili a tutti e, dato che li conoscevano già, anche per dare un grosso aiuto al sottoscritto nell’evitare danni o malfunzionamenti: eh sì, perché per quanto educato e rispettoso possa essere il pubblico cinese, i bambini sono sempre bambini in qualunque parte del mondo e il ‘carico di portata’ di migliaia e migliaia di piccole pesti che muovono, toccano, spingono e saltano su oggetti in legno e plastica a lungo andare può portare a danni gravi, anche solo per semplice usura. E dopo vi voglio vedere ad andare in giro per i negozi di Shanghai a dire ‘mi servirebbe dello stagno per saldature’ in mandarino.

 

Ciononostante, abbiamo ormai completato la penultima tappa di questo lungo tour cinese e gli exhibits hanno ‘tenuto botta’ senza grossi danni. Considerate le migliaia e migliaia di persone che li hanno utilizzati questa è una bella soddisfazione.

Tra questi exhibits ce n’è uno che è un po’ a sé stante: è più semplice, non contiene elementi elettronici complessi, meccanismi o ingranaggi di vario genere, ma si tratta di una semplice vasca piena di sabbia con due pali verticali al suo interno, una corda chiusa intorno a loro, e un altro bastone libero, più lungo. Infilando questo bastone dentro la corda e tenendola in tensione è possibile disegnare con precisione un’ellisse sulla sabbia utilizzando il cosiddetto ‘metodo del giardiniere’, conosciuto fin dall’antichità.

Questo exhibit serve come spunto per raccontare le vicende di una grande scienziata e filosofa dell’Antichità, Ipazia. Questa figura storica è, così come l’exhibit che parla di lei, un po’ a sé stante all’interno di Agorà per motivi prettamente storici: mentre tutti gli altri scienziati di cui trattiamo risalgono al II o III Secolo a.C., Ipazia invece visse ad Alessandria d’Egitto a cavallo tra il IV e il V Secolo d.C., quindi in un contesto completamente diverso. A parte il differente periodo storico però la sua figura rientra perfettamente negli argomenti trattati da Agorà, sia per i suoi studi in campo matematico, astronomico e filosofico sia perché visse, così come Archimede, Pitagora e gli altri, lungo le coste del Mediterraneo, culla del pensiero occidentale.

Da molti ritenuta un’eroina della libertà di pensiero, Ipazia visse in un periodo di grandi tumulti: la città di Alessandria d’Egitto era scossa da continui scontri tra Pagani, Ebrei e Cristiani che spesso e volentieri sfociavano in violenza gratuita contro le cose e le persone; i danni furono in certi casi gravissimi e portarono tra l’altro alla distruzione della più grande biblioteca dell’Antichità e all’uccisione della stessa filosofa per mano di un gruppo di fanatici cristiani.

Ipazia fu anche astronoma e il legame con l’exhibit che di lei parla è semplice: al giorno d’oggi sappiamo che i pianeti del sistema solare compiono un’orbita ellittica e non circolare attorno al sole, e che la nostra stella occupa uno dei due fuochi dell’ellisse (che nella vasca di sabbia sono rappresentati dai due paletti); in un film biografico sulla scienziata alessandrina chiamato, guardacaso, Agorà, si vede la protagonista teorizzare questo sistema e per spiegare tale concetto Ipazia utilizza proprio il metodo del giardiniere, disegnando un’ellisse nella sabbia. La realtà storica è probabilmente diversa, dato che non ci sono prove a dimostrare che Ipazia abbia immaginato un sistema eliocentrico prima di Keplero o Galileo, né autonomamente né basandosi su studi simili di altri scienziati dell’Antichità come Aristarco da Samo; in ogni caso questo è un ottimo spunto per narrare alcuni eventi storici degni di nota e per ricordare il pensiero di una grande mente del passato.

A me invece Agorà (il film, non la mostra!) serve come spunto per saltare di palo in frasca e parlare di un argomento completamente diverso come il cinema in Cina, dato che alcuni amici mi hanno chiesto ‘cosa si guarda lì’ o ‘che cosa arriva da quelle parti’, riferendosi ai film occidentali. La risposta è molto semplice: di tutto. Dal drammatico allo storico, dai thriller d’azione ai polpettoni romantici, i grandi generi che anche noi conosciamo ci sono tutti.

E in effetti quel poco di cinema cinese che arriva dalle nostre parti è lì a dimostrarcelo: partendo dai wuxia, quegli action movies spesso storici, pieni di arti marziali più o meno seriose che prima Bruce Lee (peraltro il meno ‘cinese’ del lotto) e poi Jet Li, Ang Lee e Jackie Chan hanno esportato in Occidente, per arrivare ai grandi film storici e drammatici di Zhang Yimou e dello stesso Ang Lee, in mezzo si può trovare veramente qualunque genere e sottogenere immaginabile. A dimostrarlo è lo stesso regista di Lanterne rosse che, dopo aver lanciato sul mercato internazionale il cinema cinese verso i primi anni ’90, insieme ad alcune giovani e bellissime attrici come Gong Li e Zhang Ziyi, si è dedicato a film più commerciali e infarciti di azione, arti marziali e funambolici combattimenti di spada, come Hero o La foresta dei pugnali volanti. Allo stesso modo ha fatto Ang Lee, che si è cimentato nel genere con La tigre e il dragone.

Anche Hollywood si è accorta della Cina, e, dopo la rara eccezione di 55 giorni a Pechino del 1963, con Charlton Heston e David Niven sulla rivolta dei Boxer, a partire dagli anni ’80 i film occidentali ambientati nella Terra di Mezzo sono aumentati in maniera esponenziale: L’Impero del Sole e Indiana Jones e il tempio maledetto, entrambi di Spielberg ed entrambi in parte ambientati a Shanghai, L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, Mission:Impossible III che ha una scena girata a Xitang, i film di animazione Kung Fu Panda e il disneyano Mulan sono soltanto alcuni esempi.

Quello che arriva in Cina dall’Occidente è allo stesso modo molto vario: basta guardare i negozi di dvd nei sottopassaggi della metropolitana o tra i banchetti dei venditori ambulanti per vedere migliaia e migliaia di titoli diversi, in cui c’è veramente tutto: da Fellini a Truffault, da Hugh Grant a Bud Spencer, da Stallone a Vin Diesel. Tutto rigorosamente illegale e contraffatto, sebbene vada precisato che il classico luogo comune sui Cinesi che copiano gli originali occidentali sia vero solo in parte: in Cina per moltissimi articoli si può trovare sia l’originale di marca (a prezzi vicini a quelli europei) che il contraffatto, e questo vale per abbigliamento ed elettronica (con l’unica isola felice di Hong Kong, dove l’originale di marca si trova davvero a prezzi più economici), ma non per i film in dvd che, effettivamente, sembrano in apparenza esistere solo in formato contraffatto.

Detto questo,  segnalo anche una passione sfrenata e per me inspiegabile del popolo cinese per i Transformers: molti dei ragazzi che lavorano da animatori ad Agorà me ne hanno parlato in toni entusiastici, e inoltre al quartiere 798 di Pechino, al Loft Design Center di Taicang e davanti a un cinema a Jiaxing ho trovato statue alte anche 5-6 metri dei robottoni cinematografici. Mah…

Prima di salutarvi vi segnalo un articolo tratto dal blog Photobuster dell’amico Paolo Bertotti, fototecnico e ufologo (di quelli seri che analizzano a fondo immagini e filmati e non parlano di omini verdi) con cui ho collaborato per la mostra alieNazioni che abbiamo presentato l’anno scorso al Festival della Scienza. Paolo parla dei bellissimi aquiloni decorati con luci a led nati qualche anno fa in Cina e utilizza alcune foto che ho scattato nel quartiere di Pudong a Shanghai e che ho provveduto ad inviargli qualche giorno fa. Prendete nota perchè tra qualche mese questi oggetti arriveranno dalle nostre parti e illumineranno anche i cieli italiani. Occhio quindi a non parlare di astronavi aliene prima di averli visti!

Zaijian,

fonso