Alla scoperta della vita

Le grandi rivoluzioni delle scienze naturali

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Il libro raccoglie alcune tra le più grandi scoperte delle scienze naturali degli ultimi secoli, narrate dal punto di vista dei grandi scienziati che le compirono: uno sguardo più umano sulla storia delle rivoluzioni scientifiche che ci hanno permesso di conoscere e amare la natura del pianeta Terra. Dai viaggi dei grandi avventurieri dell’Ottocento, come Alexander von Humboldt, fino alle scoperte paleontologiche di Mary Anning e alle “guerre dei dinosauri” tra scienziati a caccia del fossile più bello. Dall’incredibile rivoluzione dell’evoluzionismo fino agli studi sul comportamento animale, per arrivare alla scoperta del calamaro gigante, uno dei mille misteri che ancora si celano negli oceani. Partendo dalla storia dell’orchidea del Madagascar e della ricerca del suo unico impollinatore da parte di Wallace, Darwin e altri grandi scienziati, si può comprendere come si siano evolute le scienze naturali nei secoli. Come pure la scoperta delle alghe Prochlorococcinae, gli organismi fotosintetici più diffusi al mondo, viste per la prima volta soltanto nel 1986, sono la testimonianza di quanto affascinanti e in divenire siano questi campi di studio. La storia delle scienze naturali come un costante susseguirsi di scoperte e di nuove meraviglie vissute in prima persona dai loro grandi protagonisti.

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A cosa pensava Darwin?

Piccole storie di grandi naturalisti

 

 

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A cosa pensava Charles Darwin quando, ormai anziano, passeggiava nei boschi che circondano la sua casa in campagna? E qual era il sogno di Konrad Lorenz, prima di voler diventare un’oca? Perché Jane Goodall si è ritrovata all’improvviso nel cuore dell’Africa a studiare gli scimpanzé? E cosa ha spinto David Attenborough sulla cima del monte Roraima, nel cuore dell’Amazzonia?
Il libro è una raccolta di brevi biografie di alcuni tra i più grandi naturalisti degli ultimi due secoli: ogni capitolo ha un diverso protagonista di cui vengono narrati pregi e difetti, vicissitudini e successi. Di storia in storia, si indaga cosa abbia spinto queste grandi donne e questi grandi uomini a dedicare la loro vita allo studio della natura, pur dovendo fronteggiare difficoltà di ogni genere per riuscire nell’impresa. Il libro è disponibile anche su Amazon, ha ottenuto ottime recensioni su varie riviste scientifiche (tra cui Le Scienze e la Rivista della Natura), sul sito della Fondazione Umberto Veronesi e su Ansa Scienza, è stato presentato in radio (Radio3 Scienza e Il Giardino di Albert, sulla Rete 2 Svizzera) e in televisione (GEO su Raitre). Si è inoltre classificato terzo nella categoria Scienze della vita e della salute per il 2016 nel concorso nazionale di divulgazione scientifica dell’Associazione Italiana del Libro.

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Alfonso Lucifredi – Pensieri.Parole.Opere.Omissioni.

Pensieri.Parole.Opere.Omissioni. è un’opera teatrale divisa in quattro monologhi, presentati al pubblico da altrettanti narratori (due uomini e due donne) che non hanno nome, ma che hanno caratteristiche e peculiarità che li rendono estremamente diversi  e ben distinguibili l’uno dall’altro.

Il tema conduttore dell’opera è il peccato, inteso come azione negativa e dannosa verso i propri simili e il proprio ambiente. La narrazione pertanto si dipana riassumendo punto per punto tutti i peccati compiuti dall’Umanità nel corso dei secoli, e suddividendoli nelle quattro categorie del classico credo cristiano.

Le caratteristiche dei narratori ricalcano in toto, sia dal punto di vista estetico che interpretativo, la ‘categoria’ dei peccati che trattano nel proprio monologo.

Le tematiche sociali e ambientalistiche sono il punto focale dell’intera opera, ma a seconda dei narratori l’attenzione si dirige ora verso contesti  storici e politici, ora verso argomenti scientifici o naturalistici.

Non vi è una vera trama, le tematiche trattate sono una sorta di elenco di tutti i peccati dell’umanità, presentati in maniera discorsiva e con molti esempi . Un caso a sé stante è l’ultimo monologo, Omissioni, basato interamente sulla vicenda dei Desaparecidos argentini.

La descrizione dei personaggi, dell’ambientazione e dell’azione è volutamente scarna e minimale, sia per lasciare ampie possibilità interpretative e scenografiche, sia perché i monologhi sono lunghi e strutturati e contengono in sé l’intero messaggio che l’opera vuole comunicare.

Lo stile narrativo scelto varia a seconda dei personaggi: è prima freddo e rigoroso (pensieriparole), per poi diventare più passionale (opereomissioni).

Ciononostante, alcune soluzioni visive, come la proiezione di immagini sullo sfondo, o l’utilizzo di pochi oggetti di scena con forte valenza simbolica, hanno la funzione di rafforzare dal punto di vista visivo il messaggio stesso.

Il principale interesse dell’opera è portare per la prima volta sul palcoscenico tematiche prettamente scientifiche o naturalistiche, e sfruttare la forza comunicativa del teatro per trasmettere un messaggio concreto su fatti reali, e su problematiche all’ordine del giorno nella società odierna.

Per info:

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Giorgio Celli – Ecologi e scimmie di Dio (1985)

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Come tutta l’opera del professor Giorgio Celli, questo suo Ecologi e scimmie di Dio è un lavoro assolutamente sui generis nel campo della lettura scientifica italiana. Immaginatevi di fondere assieme l’entusiasmo narrativo di Konrad Lorenz, il rigore scientifico, seppure inserito in un contesto ‘divertito’, di Richard Feynman, la sinteticità ‘giornalistica’ di Enzo Biagi e la capacità immaginifica e colorita di un grande narratore, come ad esempio Italo Calvino, e otterrete qualcosa di molto simile a quanto prodotto in campo letterario dal professor Celli.

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Giorgio Celli

Nello specifico di quest’opera, tra le sue più conosciute, il trait d’union che sembra unire le apparentemente disparate tematiche trattate è il voler riflettere sul futuro del nostro pianeta e su come l’Umanità stia mettendo a repentaglio il suo stesso futuro con la presunzione di poterlo modificare con la tecnologia e le sue capacità intellettive e discernitive, che, per quanto straordinarie se paragonate al resto del mondo animale, potrebbero tramutarsi in un’arma a doppio taglio. Il cervello ha inventato i nostri killer, scrive Celli nella nota introduttiva, e l’esempio non potrebbe essere più azzeccato. Il parallelismo che viene descritto è tratto dal mondo animale, e riguarda il cosiddetto fenomeno dell’ortogenesi, in cui i cambiamenti nella struttura corporea di determinati organismi portano a un immediato successo adattativo, senonché le modifiche possono essere talmente radicali e drastiche da portare in breve tempo la specie stessa all’estinzione.

È classico il caso dell’Alce d’Irlanda, in realtà una specie di cervo, il cui palco si accrebbe a dismisura fino a diventare di dimensioni sproporzionate, e, nonostante un successo adattativo immediato, l’impaccio e il peso delle corna (definite in questi casi iperteliche) divenne insostenibile, al punto da segnare la scomparsa della specie. E se il nostro cervello fosse il prodotto di una ugualmente rovinosa ortogenesi? L’interrogativo posto da Celli è tuttora aperto, a quasi vent’anni dalla pubblcazione di questo libro, che per tantissimi aspetti si è rivelato profetico. Le nostre capacità immaginative e realizzative si sono spinte fino ai limiti con velocità imprevedibile, eppure i nostri sogni sono cresciuti più in fretta della saggezza.

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Scheletro di Alce d’Irlanda (Giganteus megaloceros), specie estintasi presumibilmente a causa del suo palco di dimensioni spropositate.

La narrazione ci riporta alla mente uno dei primi esempi di ‘ecologismo’ in letteratura, il dottor Stockmann di un’opera di Henrik Ibsen: costui è il protagonista di un autentico dramma ambientale ante litteram, in quanto, da medico delle terme, indaga su misteriosi inquinamenti delle acque che portano dolori e malesseri ai pazienti, fino a scoprire gli effetti nefasti di una conceria posta a monte del centro termale; denunciando l’accaduto, però, non assurge al ruolo di eroe, ma piuttosto di guastafeste che cerca di rovinare il successo economico dell’area, e viene accusato di truffa e fuggito da tutti.

L’inseguire ‘chimere’ tecnologiche e scientifiche è però tanto dannoso quanto accusare o ostracizzare gli scienziati mossi da buona fede: un classico esempio citato da Celli è l’incredibile successo che ottenne il celebre pesticida DDT (abbreviazione di diclorodifeniltricloroetano), sviluppato inizialmente da Zeidler e successivamente da Muller, che dai tempi della II Guerra Mondiale fino agli anni ’60 venne utilizzato in tutto il mondo come killer micidiale (in particolare sulle piantagioni di patate minacciate dalla famigerata Doriphora), ritenendolo versatile e sicuro; purtroppo, poco per volta, se ne scoprirono i suoi effetti nefasti sia sull’ambiente che sull’uomo, dall’indebolimento dei gusci delle uova di uccello e le altissime mortalità conseguenti, alla scoperta di fattori mutageni e cancerogeni, che, causa principale il cosiddetto ‘bioaccumulo’, finivano per raggiungere in quantità sempre maggiori i vari anelli della catena alimentare, uomo compreso.

In questo senso fu esempio premonitore il libro Primavera silenziosa di Rachel Carson, citato dallo stesso Celli, che ci narra anche della nascita dei primi rimedi naturali agli agenti infestanti, ovvero la cosiddetta ‘lotta biologica’, introdotta dal russo Metnikoff, che per primo debellò alcuni parassiti dei cereali utilizzando dei funghi, a loro volta parassiti naturali di questi ultimi. L’impresa ebbe talmente tanto successo che il ricercatore creò la prima vera e propria fabbrica biotecnologica, verso fine XIX secolo, per la coltura delle spore del fungo.

La narrazione di Celli ci porta poi ad alcuni fantasiosi dialoghi che il dottor Mario, tipico rappresentante del mondo occidentale, ha con alcune figure diaboliche (!) tra cui Jezabel, che lo portano in più occasioni a riflettere sul relativo benessere del pianeta su cui vive, con due terzi della popolazione sotto la soglia della povertà, un costante accumulo dell’inquinamento portato dalla produzione industriale, un’esplosione demografica difficilmente controllabile… anche in questo caso, il racconto di Celli si è dimostrato profetico.

In certi casi, ci ricorda il professore bolognese, la figura dello scienziato può scadere in ingenui entusiasmi che troppo spesso lo portano a conclusioni affrettate e approssimative, fino a donare all’intera comunità scientifica facili illusioni; un classico esempio fu la ‘scoperta’ dei ‘Raggi N’, ad opera del professor Blondot dell’Università di Nancy (da cui il nome), che ben presto si rivelarono un buco nell’acqua, una semplice interferenza su ondulazioni già conosciute: in tal caso, l’entusiasmo iniziale venne dato dal fervore scientifico del tempo, in cui venivano costantemente individuate nuove frequenze di trasmissione (Raggi X, raggi gamma e via dicendo), e l’entusiasmo della nuova scoperta fece sottovalutare l’importanza del rigore scientifico e delle controprove nella ricerca.

Altra tipica ‘chimera’ della storia della scienza furono i cosiddetti ‘Animali sapienti’, come il cane Rolf o il cavallo Hans (Clever Hans), considerati, verso la fine dell’Ottocento, in grado di compiere difficili calcoli matematici e ragionamenti complessi e di comunicarli battendo le zampe o gli zoccoli a terra, quando questi in realtà altro non facevano che cogliere impercettibili segni di assenso da parte dei loro padroni.

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Il cavallo Hans, ritenuto in grado di compiere strabilianti calcoli matematici.

In realtà l’essere visionari è uno dei punti di forza dei grandi scienziati: ne è un celebre esempio Alfred Russel Wallace, che fu ideatore (sebbene in molti lo ignorino) quasi in contemporanea con Charles Darwin della teoria dell’origine delle specie per selezione naturale. La sua straordinaria e innata capacità immaginifica però fu in parte anche la sua disgrazia, in quanto il suo essere personaggio particolare, dal passato avventuroso e dai più disparati interessi, anche nel campo dello spiritismo e della parapsicologia, lo resero decisamente più ‘scomodo’ del suo tranquillo collega, che ottenne ben maggiore riconoscimento presso la comunità scientifica.

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Alfred Russel Wallace e Charles Darwin

Altro esempio di capacità ‘visionaria’ la ebbe lo stesso Darwin, anche se un’indole schiva e sensibile non lo aiutò, e a questo suo carattere non certo rivoluzionario Celli dedica un capitolo dell’opera, che però ci dimostra che lo scienziato inglese aveva comunque intraprendenza almeno nella sua visione diagnostica del mondo naturale: Darwin fu anche un eccellente botanico e ipotizzò che a ogni fiore corrispondesse un apposito animale impollinatore (cosa che in realtà non è sempre vera), e, qualora questo non fosse ancora stato scoperto, egli era comunque certo della sua esistenza. Un esempio venne dato da un’orchidea del Madagascar il cui nettario si trova in fondo a una lunga cavità dove nessun apparato boccale di un insetto conosciuto avrebbe potuto arrivare; i fatti diedero ragione a Darwin quando venne scoperta una farfalla notturna dotata di una spirotromba di circa 20 cm di lunghezza (!) a cui, non a caso, venne dato il nome di praedicta.

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L’orchidea del Madagascar Angraecum sesquipedale, visitata dal suo unico impollinatore, la falena Xanthopan morgani praedicta

Celli ci ricorda che l’uomo è in tutto e per tutto un animale, e riassume in sé caratteristiche psicologiche e comportamentali già presenti da milioni di anni nei suoi progenitori. Gli animali provano sentimenti, giocano, hanno capacità diagnostiche e discernitive, in certe occasioni hanno addirittura comportamenti superstiziosi o dettati da una sorta di moralità, specie nel caso di animali domestici, e non usano mai la violenza se non hanno un motivo ben preciso; in tal senso il capitolo conclusivo del libro, in cui Sherlock Holmes descrive al dottor Watson di come il padre di Giosuè Carducci, Michele, avrebbe secondo lui assassinato il fratello del celebre scrittore, suo figlio Dante, e avrebbe successivamente mascherato il misfatto come suicidio, per togliersi la vita lui stesso pochi mesi dopo. Questi eventi rivelano una natura violenta che si cela da sempre nell’indole umana, e che bisognerebbe cercare di controllare in ogni modo, in particolare in un periodo storico come questo, in cui l’opera degli scienziati, le ‘Scimmie di Dio’ del titolo, ci consentono di fare passi più lunghi della gamba e mettere a repentaglio il futuro nostro e dell’intero pianeta.

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Konrad Lorenz – L’altra faccia dello specchio (1973)

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Tra le opere teoretiche di maggior importanza di Konrad Lorenz vi è senz’altro questo saggio datato 1973 (anno di conseguimento del premio Nobel da parte del suo autore). In quest’opera viene sottolineato come tutte le componenti del comportamento umano innato e appreso possano essere inserite in un’ottica di continuità filogenetica con la realtà naturale che circonda l’uomo.

In questo libro ho compiuto il tentativo, forse troppo audace, di dare una visione generale dei meccanismi cognitivi nell’uomo, scrive Lorenz.

Di certo il background culturale dell’autore, sia medico che biologo, lo ha aiutato a mettere insieme un’opera di tale portata, che rivela umiltà nel sottolineare l’ambiziosità del progetto in relazione alle sue comunque non illimitate conoscenze, associata però all’orgoglio nel tentare un lavoro mai realizzato in precedenza.

Finora infatti nel nostro pianeta non si è mai dato il caso di un’autoanalisi riflessiva della cultura umana, esattamente come, prima dei tempi di Galilei, non esisteva una scienza oggettivante della natura nel senso in cui la intendiamo noi. Ecco il perché di questo tentativo di un’analisi naturalistica della società e del comportamento umano, con tutti gli elementi classici dell’etologia di Lorenz, in particolare la difesa dell’idea del comportamento come l’intersecarsi di due elementi indispensabili e irrinunciabili come l’istinto e l’appreso. Tutti gli aspetti dell’analisi biologica degli individui, del loro comportamento e della struttura delle società che costituiscono, per la prima volta vengono così applicate all’uomo.

I tanti aspetti della vita umana, come l’abbigliamento, le mode, l’invarianza e l’evoluzione culturale, l’apprendimento e più in generale l’acquisizione di informazioni a qualunque livello vengono pertanto toccate con il distacco tipico di un naturalista: così Lorenz cerca di dimostrare, non senza ricchezza di esempi, che esiste una notevole continuità nella crescita e sviluppo della cultura umana in relazione al mondo naturale che la circonda.

Tutte le forme e i metodi di apprendimento presenti in natura, viceversa, si presentano nei vari piani che vanno a strutturare l’intelletto umano, sia a livello di singolo che di società. Il distacco tra il mondo naturale e l’ambito umano, teorizzato e sostenuto per secoli, viene poco per volta superato da una nuova ottica di continuità in cui quanto apparso precedentemente in natura è stato acquisito e sviluppato dall’uomo in forme culturali sempre più evolute e complesse, utilizzando però elementi già esistenti.

Il messaggio del saggio di Lorenz è probabilmente quello di sottolineare la straordinarietà dell’uomo in questo senso, ovvero il raggiungimento di livelli di complessità culturale e conoscitiva straordinari, pur utilizzando gli stessi metodi e forme di apprendimento che sono propri del mondo naturale. Sicuramente il lavoro in questione è estremamente ampio e ambizioso, ed è accostabile per forma e complessità ai lavori più ostici e teoretici dell’etologo austriaco, come Evoluzione e modificazione del comportamento, trattante le stesse tematiche, ed è pertanto consigliabile principalmente agli addetti ai lavori, sebbene alcuni passaggi (in particolare i ‘prolegomeni gnoseologici’ che fanno da introduzione al saggio e che esplorano le apparenti contraddizioni e i paradossi dell’Idealismo, in parte riconducibile a Kant, e i loro attriti con la visione del mondo da parte del Naturalista) possano rendere la lettura particolarmente appetibile anche agli appassionati di filosofia. In ogni caso un’opera di alto livello che cerca di spiegare e approfondire i concetti di ‘cultura’ e ‘apprendimento’ analizzandoli con l’occhio distaccato dello scienziato.

Konrad Lorenz – L’anello di Re Salomone (1949)

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Ho da sempre associato la figura di Konrad Lorenz a quella di un vecchio saggio che ha condotto la sua vita in maniera appassionata ma al tempo stesso equilibrata, in armonia con sé stesso, con la natura e gli animali che lo hanno circondato nel corso tutta la sua esistenza, molto più che a quella del grande e influente scienziato, principale artefice della nascita di una nuova disciplina scientifica, l’etologia o studio del comportamento animale; ciò è dovuto in gran parte a questa sua opera, datata 1949, in cui è Lorenz stesso a confessare di averla scritta spinto dalla passione per lo studio degli animali e per la rabbia nata dall’aver letto tante, troppe storie ingiuste e crudeli nei confronti dei suoi beniamini.

Non si tratta difatti di un classico saggio scientifico scritto con rigore e compostezza di termini, ma di un vero e proprio gesto d’amore del grande scienziato nei confronti del mondo animale in tutta la sua varietà e meravigliosa ricchezza. È difatti un libro scritto con trascinante passione, che narra di oche selvatiche che credono di appartenere alla specie umana a causa dell’imprinting, che le ha legate indissolubilmente allo scienziato che le ha ‘covate’, e che per primo hanno visto al momento della loro nascita; di taccole disposte a sacrificare la loro vita pur di salvare le loro compagne; di pesci incredibilmente passionali, di gatti falsi, cani bugiardi, volpi molto meno furbe di quanto non voglia la tradizione; di acquari che si tramutano in grandi mondi inesplorati, creati con poche pianticelle e pesciolini raccolti dallo stagno vicino a casa, e di altri mille piccoli episodi legati a tutta la vita dell’autore, condotta nella casa di Altemberg in un piccolo paradiso incontaminato e popolato da tantissime specie diverse, conviventi in perfetta armonia. Vediamo insomma uno scienziato premio Nobel impegnarsi, in maniera quasi romanzesca, a narrare tutte le piccole e grandi meraviglie del mondo animale, rivelando di avere un coinvolgimento nei suoi studi che si spinge ben oltre la semplice ricerca di nuove scoperte per tramutarsi in una vera e propria passione che riesce a rendere partecipe il lettore dopo pochissime pagine.

Ciononostante, c’è molto più del semplice gusto di Lorenz nel raccontare con ironia e coinvolgimento in questo romanzo; si delinea, a poco a poco, il pensiero del grande scienziato austriaco sulle discusse tematiche dello studio del comportamento animale, come il corteggiamento, l’aggressività (protagonista di un altro suo grande saggio), l’amore, la territorialità e così via, ricordandoci, se ce ne fosse bisogno, che i comportamenti di noi umani non sono poi così lontani da quelli dei nostri ‘fratelli minori’; non è certo un caso, difatti, se gli studi di Lorenz, Von Frisch, Tinbergen (insigniti del premio Nobel per la medicina nel 1973) e pochi altri grandi scienziati hanno fornito un contributo prezioso allo studio del comportamento e della psicologia umana.

Forse questo libro ha due differenti chiavi di lettura: da un lato c’è l’amore, la passione e soprattutto il rispetto per la vita in tutte le sue forme, raccontata in maniera ora ironica, ora coinvolgente e appassionata, ora triste e malinconica, che ci permette di affrontare un approccio alla lettura analogo a quello per un romanzo sensu stricto, mentre dall’altro, forse parzialmente nascosta tra le righe, c’è la rigida convinzione dello scienziato che cerca di insegnarci che l’uomo non è poi così evoluto e superiormente distaccato nei confronti del resto del mondo naturale, e che il rispetto per la vita è un qualcosa di imprescindibile in una società che si presuppone civile. Il piccolo paradiso di Altenberg ha insegnato agli scienziati che per studiare a fondo e coerentemente il comportamento gli animali questi devono essere osservati in libertà; questo libro, invece, ci ha insegnato che per capire realmente la natura del mondo in cui viviamo forse non è sufficiente osservarla e rispettarla, ma bisogna realmente sentirsene parte. Probabilmente non sarebbe male ricordarselo anche in questi tempi di ecologia ‘usa e getta’.

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Konrad Lorenz (1903-1989) gioca con un’oca selvatica, specie protagonista del suo saggio sul comportamento ‘Io sono qui, tu dove sei?’

Linda Wasmer Smith – La mente e il corpo (1997)

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Un campo di studi in ampio sviluppo nella medicina moderna è la ricerca delle interazioni tra la componente fisica e quella mentale nell’organismo. Dopo secoli in cui corpo e mente sono stati interpretati dalla medicina occidentale come entità ben distinte, separate e non interagenti, negli ultimi decenni una nuova corrente di ricerca ha preso piede, ammettendo dall’osservazione diretta che esiste un rapporto di stretta interazione tra i due ambiti.

L’inedito sviluppo di questi studi ha portato alla nascita di nuove dottrine e componenti della cosiddetta medicina alternativa, di origine inizialmente orientale, per evolversi su vari piani, al fine di studiare in che modo la mente (comportamenti, stati d’animo, interazioni con altre persone, attività di vario genere) possa influire direttamente sull’organismo, e in che modo questa correlazione possa avere effetti terapeutici se correttamente interpretata.

La giornalista scientifica statunitense Linda Wasmer Smith ha realizzato questo saggio con lo specifico intento di fare il punto su tutti i campi in cui si stanno sperimentando e testando le nuove forme di terapia alternativa, quanto realmente conosciamo sull’argomento e quanto deve ancora essere dimostrato sperimentalmente o chiarito dal punto di vista teorico.

La storica concezione della cultura occidentale della biomedicina, secondo cui ogni tipo di disturbo dell’organismo potesse essere ricondotto a una causa fisica, come un batterio o un virus, ha cominciato a mostrare i primi segni di cedimento negli anni ‘30, quando si sono iniziate a studiare patologie o malfunzionamenti come la nevrosi organica, ovvero disturbi cardiaci o della digestione causati da condizioni emotive.

La Seconda Guerra Mondiale, con l’elevatissimo stato di stress che ha comportato, ha fatto emergere definitivamente questo tipo di problematiche, e già dai primi anni ‘50 la lista dei cosiddetti disturbi psicosomatici, causati principalmente dall’influenza dello stress, ha incluso l’asma, l’ipertensione, l’artrite reumatoide, l’ulcera peptica, la colite ulcerosa, l’ipertiroidismo.

La medicina mente-corpo ha mosso i suoi primi passi negli anni ‘60, ma ha definitivamente preso piede e si è sviluppata su ampio raggio solamente a partire dagli anni ‘80. I campi di studio non riguardano solamente ricerce psicologiche, anzi. L’approccio che sta prendendo maggiormente piede in questi ultimi anni è l’olismo, in cui tutti gli elementi che influiscono sull’essere umano (fisici, mentali, emotivi e spirituali) vengono considerati per lo studio delle patologie. Ciò si riscontra nel trattamento più orientato su un atteggiamento positivo di medici e infermieri e sull’ospitalità nei confronti dei pazienti da parte degli ospedali olistici, che effettivamente sembrano comportare tempi di guarigione mediamente più rapidi. In tal senso, una nuova associazione chiamata Planetree alliance ha incentrato il proprio campo di studi sullo sviluppo di un ambiente ospedaliero particolarmente accogliente e positivo. Il limite dell’olismo, come sottolineato dalla Wasmer, è una sostanziale mancanza di ricerche approfondite e rigorose nel campo, e ciò comporta l’assenza di un approccio rigido e unitario nell’applicare questo tipo di cure.

Vari studi psicologici stanno pian piano approfondendo il campo dell’atteggiamento psicologico del paziente nell’affrontare la malattia e nell’accettare le cure. Un atteggiamento positivo sembra, almeno dal punto di vista statistico, offrire percentuali di guarigione più alte, e tempistiche di recupero più brevi. Anche il temporaneo stato mentale del paziente sembra influire: le disgrazie e i lutti sembrano al contrario influire negativamente sui pazienti e anche atteggiamenti disillusi e di rassegnazione sembrano rallentare l’efficacia delle cure.

Nel campo di studi della medicina alternativa una delle branche che fornisce apparentemente maggiori basi scientifiche documentate è la Psiconeuroimmunologia (PNI), termine nato nel 1981 da un’opera di Robert Ader, che studia le interrelazioni tra cervello e sistema immunitario nell’influenzare la salute dell’organismo, in particolare, nello studio sul sistema endocrino, che risulta essere ricco di terminazioni nervose, e dell’attività indiretta di vari messaggeri chimici rilasciati dal sistema nervoso.

Per quanto riguarda patologie direttamente causate da motivi nervosi, come lo stress, esistono studi approfonditi sul’interazione tra il sistema nervoso simpatico (eccitatore) e il parasimpatico (inibitore), e sembra che un’induzione condizionata di quest’ultimo possa avere effetti terapeutici per le condizioni più gravi di tensione e angoscia. Questo campo di studi non va assolutamente sottovalutato: il Karoshi, la morte per eccesso di lavoro, indicata non a caso da un termine giapponese, miete 30.000 vittime ogni anno, e l’ipertensione stessa può provocare l’insorgere di svariate patologie ben più gravi.

Il rilassamento può essere raggiunto tramite varie metodologie, da quelle più diffuse e sperimentate come la meditazione, di origine culturale prettamente orientale, fino a quelle meno note e approfondite come l’ipnosi (le cui vere cause non sono ancora conosciute a fondo). Una metodologia che sta prendendo piede in vari ospedali del mondo è il biofeedback, che consiste nel fornire ai pazienti dati accurati e approfonditi sul proprio stato di salute, praticamente in tempo reale. Osservando tramite monitor i propri dati il paziente può, procedendo per tentativi, provare a controllare alcuni processi come la pressione sanguigna, la temperatura del corpo, le onde cerebrali e la funzione gastrointestinale. Sebbene sia ancora in fase embrionale, questa nuova disciplina sta fornendo risultati significativi.

Passando per l’influenza della cultura, dell’immaginismo e delle credenze, il saggio si chiude nella descrizione di altri elementi psicologici che sembrano influire sullo stato di salute delle persone. Un atteggiamento positivo e utile alla guarigione può essere portato dalla musica, dall’attività artistica, dagli animali domestici, dagli amici. I piani su cui si può sviluppare questo tipo di terapie sono numerosissimi, a seconda delle situazioni e degli individui.

Il saggio in oggetto dà solamente un’idea generale, seppur molto ben approfondita, su quanto questo tipo di ricerche si siano sviluppate e siano diventate articolate e complesse. Tantissimi ospedali effettuano ricerca costante sul rapporto mente-corpo al fine di scoprire e migliorare terapie sempre più efficaci e produttive. Oltre a numerosi suggerimenti per il lettore su come approfondire la conoscenza di sé, il libro offre una nuova visione di queste tecniche, che, se associate alle metodologie della medicina tradizionale, potranno rendersi sempre più diffuse e complete in futuro.

Konrad Lorenz – Evoluzione e modificazione del comportamento (1965)

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Lo studio del comportamento animale o etologia ha avuto una storia estremamente complessa e travagliata, con innumerevoli correnti e sottocorrenti di pensiero che hanno sfaccettato l’interpretazione delle conoscenze preesistenti e delle osservazioni sperimentali fornite dalla zoologia nel campo dello studio del comportamento animale.

In poco più di un secolo, da quando cioè l’etologia ha potuto definire i propri campi di indagine approfonditamente, distaccandosi dalle altre discipline naturalistiche per diventare scienza a sé stante, il dibattito sul comportamento animale ha cercato di stabilire quali siano le componenti fondamentali che danno origine al comportamento stesso.

Gli elementi basilari sono due: da un lato c’è un patrimonio genetico, ereditato da millenni di evoluzione e perciò selezionato e adattato all’ambiente, che dovrebbe fornire la matrice ‘innata’ del comportamento, dall’altra vi è l’influenza, tutt’altro che trascurabile, dell’ambiente stesso sulla crescita e la formazione dell’animale stesso e del suo comportamento (‘appreso’).

Konrad Lorenz, considerato il padre della moderna etologia (‘moderna’ in quanto una scuola di pensiero già piuttosto evoluta aveva posto le radici alla cosiddetta ‘psicologia comparata’ a cavallo tra XIX e XX secolo, e tra gli scienziati che la componevano vi era lo stesso maestro di Lorenz, Oskar Heinroth), al tempo della pubblicazione di questo libro cercò di fare il punto sulla situazione della disciplina, chiarendo gli aspetti fondamentali del suo pensiero e criticando la visione di alcune nuove scuole di pensiero.

Va detto difatti che ai tempi era ancora imperante tra gli etologi di scuola americana la corrente del ‘Behaviorismo’, che eliminava completamente dal piano comportamentale degli animali la sua componente innata, sottolineando il peso delle influenze ambientali nell’ontogenesi (sviluppo dell’individuo) dell’animale adulto, ponendo oltretutto l’accento sul fatto che una componente genetica, qualora presente, non fosse identificabile sperimentalmente e quindi dimostrabile, e su come in certi casi lo stesso sviluppo prenatale potesse influire sul comportamento dell’individuo.

Per molti altri etologi di lingua inglese invece il concetto di ‘innato’ non solo era inutile, ma anche sbagliato, poichè essi ritenevano che il comportamento fosse determinato in qualunque sua forma da due componenti, quella appresa e quella ereditata filogeneticamente e geneticamente, in livelli differenti a seconda dei casi, ma che comunque né l’una né l’altra parte fossero distinguibili e identificabili sperimentalmente in ogni singolo comportamento.

La primissima scuola di etologi europei, a cui faceva capo Heinroth e a cui si ascrive lo stesso Lorenz, aveva invece il difetto di ritenere che i due concetti di innato e appreso si escludessero a vicenda, e che ciascun comportamento potesse essere identificabile sperimentalmente come appartenente all’una o all’altra categoria. In questo senso lo stesso Lorenz confessa il proprio errore.

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Konrad Lorenz (1903-1989)

Lo scopo principale del presente volume è quello di evitare che sia screditato un concetto che, anche se a volte è stato utilizzato in modo impreciso, è tuttavia indispensabile per affrontare in modo etologico lo studio degli animali. Il concetto è quello di “innato”, scrive Lorenz. Per perseguire questo scopo lo scienziato austriaco controbatte punto per punto le posizioni delle scuole sopraccitate, sottolineando come uno studio etologico debba essere compiuto, senza dimenticare una componente come quella dell’osservazione diretta in natura delle specie e l’approfondita conoscenza di tutti gli schemi di comportamento prefissati e preesistenti in esse (etogramma), e come, specie nella scuola Behavioristica, fosse stato dato un peso addirittura eccessivo allo studio sperimentale in laboratorio, che comunque forniva una fotografia deformata del comportamento reale dell’animale in natura, e spesso eccessivamente condizionato (ai limiti del patologico) per far sì che una componente innata fosse identificabile in esso. Lorenz inoltre sottolinea come sia fondamentale la funzione dei processi selettivi ereditati geneticamente, e già preformati per rispondere alle esigenze ambientali a cui la specie è adattata; l’influenza ambientale è sì importante, ma in molti casi fa da ‘fattore scatenante’ a determinati comportamenti ereditati geneticamente e quindi istintivi.

Infine, Lorenz sottolinea quelli che devono essere gli aspetti fondamentali del cosiddetto ‘esperimento di privazione’, ovvero verificare se l’animale, in assenza del fenomeno scatenante presente in natura, presenti ugualmente un determinato comportamento che in tal caso sarebbe innato, nel caso contrario appreso; l’esempio più classico è dato dal maschio di Spinarello Gasterosteus aculeatus, che in fase riproduttiva assume una colorazione rossastra sul ventre. Uno spinarello nel periodo degli amori attaccherà qualunque altro maschio rosso se invaderà il suo territorio, pur non avendone mai visto un altro nel corso della propria esistenza.

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Maschio di spinarello (Gasterosteus aculeatus) nel periodo degli amori

Lorenz identifica gli aspetti fondamentali dell’esperimento di privazione in 5 punti fondamentali:

1)Un esperimento di privazione può dare informazioni certe solo sulla componente innata di un comportamento, non su quella appresa;

2)Chi compie questo tipo di studi deve conoscere nei minimi dettagli ogni singolo aspetto di tutta la catena di comportamenti che caratterizza la specie (ad es. tutta la fase di corteggiamento-riproduzione dello Spinarello) in modo da avere un buon ‘occhio clinico’ e verificare ogni minimo cambiamento in essa;

3)Ogni animale deve essere utilizzato per un solo esperimento, oppure per ogni soggetto deve essere stabilita una determinata sequenza di studi, in modo che in ciascuno di essi l’acquisizione di dati sia sotto controllo e permetta la verifica in esperimenti successivi; inoltre bisogna compiere un’approfondita distinzione tra i meccanismi motori e attivatori, e tra le sperimentazioni volte a identificarli;

4)L’ambiente artificiale in cui viene effettuato l’esperimento deve contenere anche l’azione-stimolo necessaria a scatenare lo schema di comportamento studiato;

5)I risultati di tali esperimenti potranno dare uno schema comportamentale affidabile solo se effettuati su animali con patrimonio genetico estremamente simile.

Per quanto ovvi, tali presupposti sperimentali non erano stati quasi mai rispettati in passato, e Lorenz fornisce a tal proposito numerosi esempi, sottolineando l’approssimazione e l’incertezza data da studi etologici ancora acerbi e incompleti. Un esempio su tutti viene esposto da Lorenz in conclusione del suo saggio, ovvero delle ‘confutazioni’ sperimentali effettuate su studi compiuti del suo allievo Tinbergen su tacchini, fagiani e oche selvatiche, effettuati in laboratorio su galline bianche livornesi(!).

In conclusione mi sento di sottolineare l’importanza di questo trattato, sia perché riassume il ‘Lorenz-pensiero’ su tutte le principali tematiche storiche dell’etologia, sia per l’appassionata ed estremamente interessante difesa alla componente istintiva del comportamento, spesso trascurata o di scarso interesse per gli studiosi del comportamento ‘in erba’, nonostante la sua fondamentale importanza. Ovviamente non bisogna aspettarsi una narrazione leggera e scorrevole come quella di un’opera divulgativa come può essere ad esempio L’anello di Re Salomone, anche se Lorenz si dimostra un eccellente narratore anche impegnandosi nel rigido e formale trattato scientifico, che risulta comunque ‘digeribile’ anche da chi non è solitamente abituato a questo tipo di lettura; ciononostante mi sento comunque di consigliarne la lettura a tutti gli appassionati di psicologia ed etologia, data la sua importanza storica e i temi trattati, tuttora fonte di dibattito presso la comunità scientifica.

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Jane Goodall – Le ragioni della speranza (1999)

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Questo libro non è una semplice autobiografia della protagonista di alcune delle più grandi scoperte riguardanti le scimmie antropomorfe più vicine a noi, ovvero gli scimpanzé, né un arido trattato scientifico in cui vengono elencati gli sviluppi dei suoi studi, ma si tratta in realtà della risposta a una domanda frequentemente posta alla sua autrice: c’è ancora speranza per il mondo in cui viviamo? La domanda che mi viene rivolta più spesso nei miei viaggi intorno al mondo scaturisce dal timore più profondo della gente: Jane, lei pensa che ci sia speranza? C’è speranza per le foreste pluviali in Africa? Per gli scimpanzé? Per gli africani? C’è speranza per il pianeta, il nostro bel pianeta che stiamo saccheggiando? C’è speranza per noi e per i nostri figli e nipoti?, scrive la Goodall.

La risposta fornita in questo libro a tutti questi interrogativi è il racconto della vita di una donna condotta prima in Inghilterra, poi tra le montagne dell’attuale Tanzania, a Gombe, nello studio ravvicinato degli scimpanzé in libertà, e infine, ed è tuttora così, in giro per il mondo a promuovere, con passione e coinvolgimento, il lavoro del Jane Goodall Institute, per la salvaguardia non solo del futuro delle scimmie a noi più simili e del loro habitat naturale, ma anche e soprattutto del mondo in cui viviamo. Speranza mantenuta e accresciutasi negli anni nonostante le infinite avversità che la Goodall ha dovuto affrontare, a cominiciare dall’infanzia vissuta in Inghilterra nel periodo bellico, la visita ad Auschwitz, la morte di una sua collega in Africa durante i suoi studi e al rapimento di altri quattro per chiederne un riscatto, la morte del secondo marito per cancro e altre mille difficoltà incontrate da una donna che ha sempre fatto della perseveranza, basata su una forte fede religiosa, il suo credo.

La narrazione della Goodall, fresca e coinvolgente, ci porta a far nostra la sua passione per la natura, gli animali e i viaggi in terre lontane e inesplorate, avuta sin dall’infanzia e che la condusse a fare il suo primo viaggio in Africa a 23 anni, per far visita a un’amica, e che cambiò radicalmente la sua vita. Ci racconta della scelta da parte del grande antropologo Louis Leakey di fare di lei la prima vera studiosa degli scimpanzé nel loro habitat naturale, dell’aver successivamente osservato l’utilizzo da parte di questi di ramoscelli, ben ripuliti e lisciati, per la raccolta delle termiti (scoperta rivoluzionaria nel campo delle scienze antropologiche, dato che fino ad allora solo l’uomo era ritenuto capace di creare e utilizzare degli utensili), dell’incontro con David Greybeard, primo degli scimpanzé ad aver stretto un contatto con lei e ad averla introdotta nel branco creando fiducia e rispetto tra i suoi compagni nei confronti della nuova arrivata, dell’osservazione diretta e commovente dei mille sentimenti ed emozioni che vivono i nostri cugini nel condurre la loro esistenza, del successo dei suoi studi e della nascita del Jane Goodall Institute for Wildlife Research, Education and Conservation e infine delle mille battaglie vinte per sensibilizzare l’opinione pubblica sui gravi danni che l’umanità sta arrecando al pianeta.

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E la risposta è chiaramente sì, c’è ancora speranza, perchè se è vero che da un lato le sofferenze, le atrocità e le ingiustizie che l’uomo arreca ai suoi simili e al mondo in cui vive sono sotto gli occhi di tutti, da un altro è innnegabile, e la vita della Goodall ne è una prova, che avendo fiducia nelle proprie possibilità e trovando tante persone nobili e generose che aiutano le giuste cause (è commovente l’incontro con Henri Landwirth, magnate sopravvisssuto in gioventù alla prigionia ad Auschwitz, emigrato in America, creatore dell’associazione Give Kids the World per i bambini malati terminali), alla fine si può essere ripagati appieno della propria opera e dei risultati ottenuti con essa, anche se, ed è Jane Goodall stessa a ricordarcelo, il viaggio non finisce mai.

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Jane Goodall in una foto recente

Francine Patterson, Eugene Linden – L’educazione di Koko (1981)

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Sempre meno sono le certezze rimaste all’essere umano dopo tante scoperte scientifiche che gli hanno tolto molte di quelle che fino a poco tempo fa erano considerate sue prerogative esclusive, come la creazione e l’utilizzo di utensili, oppure la divulgazione di scoperte e tradizioni di padre in figlio, ormai comprovate capacità di numerose specie animali.

Tra queste poche certezze vi era sicuramente la conoscenza del linguaggio; ci stiamo riferendo ovviamente non a un metodo di comunicazione semplice e immediato, come quello di abbaiare, pigolare, emettere gesti o marcare il territorio, tipico degli animali, ma a un linguaggio articolato, complesso e in grado di definire concetti e situazioni complesse e addirittura astratte. Anche questa certezza negli ultimi decenni è venuta meno, a causa dei colpi inflittigli dalle ricerche nel campo del linguaggio effettuate da psicologi e antropologi sugli animali più vicini a noi, ovvero le scimmie antropomorfe.

Celebre è il caso di Washoe, scimpanzè femmina allevato dai coniugi Gardner, studiosi di psicologia comparata, a cui fu insegnato nel corso di pochi anni a esprimersi con un linguaggio a gesti utilizzato dai sordomuti, l’Ameslan (Linguaggio Americano a Segni). La scelta di utilizzare una forma di espressione differente da quella vocale ha rappresentato un’autentica svolta nello sviluppo di tali ricerche, sia perchè le differenze fisiche tra uomini e scimmie rendevano assolutamente improbabile la possibilità di dialogo tramite questo tipo di comunicazione, sia perchè tutti i tentativi effettuati in passato di insegnare il linguaggio parlato agli animali avevano dato risultati sconfortanti, qualora non si fosse trattato di comportamenti indotti dagli allevatori o pedissequa imitazione. Celebre è infatti il caso degli ‘animali sapienti’, come cani e cavalli che soprattutto verso la fine del XIX secolo venivano indicati come capaci di effettuare operazioni matematiche o ragionamenti estremamente complessi e di comunicarli abbaiando o battendo gli zoccoli a terra, quando in realtà essi si comportavano basandosi su piccole reazioni innate dei loro allevatori.

Ed è proprio dall’esempio dei Gardner e da una loro conferenza a cui l’autrice assistette nei primi anni ‘70, che prende spunto l’esperimento della dottoressa Patterson, giovane psicologa di Stanford, sul gorilla femmina Koko, allevato ed educato sin da un anno di vita a utilizzare un linguaggio con cui comunicare con i suoi tutori.

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Koko e Francine Patterson in un’immagine recente

Il libro è una narrazione passo passo dei progressi compiuti da Koko nel corso degli anni, della sua incredibile versatilità e intelligenza e dei suoi straordinari miglioramenti compiuti negli anni nell’utilizzare il linguaggio dei sordomuti. Sbalorditive sono la sua fantasia e la sua ironia, così come la sua capacità di esprimere con pochi gesti concetti complessi e profondi, i propri sentimenti e le proprie paure.

Sono oltretutto estremamente spassosi alcuni dialoghi, sia per la fantasia del gorilla nell’esprimere concetti coloriti, sia per l’effettiva allegria caratteriale e la sua ironia. Eccone un esempio, tra Koko e l’assistente Cindy:

KOKO: Tempo unghie noce. (A quanto pare, Koko dà a Cyndy della noce [nuts in inglese, ossia pazza], uno dei suoi insulti preferiti, e la minaccia di graffiarla con le unghie, una delle sue minacce preferite, se non accondiscende).

KOKO: Frutto…chiave chiave tempo. (Koko vuol dire che è arrivato il momento, per Cindy, di servirsi della chiave per aprire il frigorifero).

CINDY: No, non adesso tempo chiave.

KOKO: sì tempo andiamo tempo, noce.

CINDY: No, non tempo!

KOKO: Sì tempo.

CINDY: No tempo.

KOKO: Unghie.

CINDY: Perchè?

KOKO: Tempo.

CINDY: Oh, insomma.

Allo stesso modo, sono assolutamente spassosi gli insulti utilizzati da Koko, principalmente nei confronti di un altro gorilla allevato insieme a lei, ossia Michael:

PENNY: Ti piace Mike?

KOKO: Diavolo marcio.

PENNY: Vuoi che Mike entri? Che pensi?

KOKO: Penso stupido diavolo.

PENNY: Dì cattivo

KOKO: Gabinetto marcio.

PENNY: Sei gelosa di Mike?

KOKO: Mike noce.

Lo stesso Mike, a cui è stato ugualmente insegnato l’Ameslan, ha avuto un ruolo importante nel fornire ulteriori elementi chiarificatori sugli studi effettuati su Koko: l’età difatti ha un ruolo importantissimo sull’apprendimento, e non è difatti un caso che Koko, a cui si è incominciato a insegnare il linguaggio per sordomuti in età molto più giovane, abbia un vocabolario di espressioni e delle capacità comunicative decisamente superiori rispetto al suo amico.

Resta di fatto che anche Mike ha evidenziato un intelligenza e un’ironia notevoli, soprattutto nel caso di domande che lui ritiene stupide:

ESTHER: Puoi dirmi una lunga frase per carne?

MICHAEL: Carne carne carne carne carne carne carne carne carne carne.

ESTHER: Sì, è lunga ma è sciocca. Puoi fare meglio?

MICHAEL: Dai forza gorilla piace piace.

ESTHER: Che cosa a te piace?

MICHAEL: Dai carne.

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Mamma gatto, protagonista della fiaba, sgrida i gattini. ‘Cattiva’ è la personale opinione di Koko.

Di certo la notorietà che Koko ha avuto negli anni, soprattutto grazie a una copertina e un articolo di National Geographic, e, in seguito, anche di Time, hanno avuto un peso notevole negli studi della Patterson, che proseguono tuttora; Koko ormai utilizza un vocabolario di oltre 1000 gesti Ameslan, un’associazione per la tutela delle grandi scimmie antropomorfe (in particolare i gorilla di montagna come lei) prende il suo nome e ottiene fondi e sponsorizzazioni soprattutto grazie alla sua grande celebrità, e il suo sito (http://www.koko.org, da cui oltretutto il libro è scaricabile per intero) conta migliaia di visitatori e di nuovi iscritti ogni anno.

Il futuro, insomma, sembra roseo per l’ormai ultratrentenne Koko, che sembra non solo avere coscienza della morte, ma dà anche l’impressione di averne una visione molto pacifica e filosofica: ‘…Maureen le ha chiesto di indicare uno scheletro di gorilla tra le immagini di quattro tipi di scheletri animali, e, quand’ebbe scelto quello giusto, Maureen le chiese se il gorilla era vivo o morto.

KOKO: Morti panni. [‘panni’ è un’espressione usata fequentemente da Koko]

MAUREEN: Vediamo se questo gorilla è vivo o morto.

KOKO: Morto addio.

MAUREEN Cosa provano i gorilla quando muoiono? Felici, tristi, spaventati?

KOKO: Sonno.

MAUREEN: Dove vanno gorilla quando morire?

KOKO: Comodo buco addio.

MAUREEN: Quando gorilla muoiono?

KOKO: Guaio vecchi.’

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La celebre copertina del National Geographic avente Koko per protagonista. Il titolo principale riporta ‘conversazioni con un gorilla’.

Insomma, questo libro offre molte occasioni per riflettere, proprio perchè permette al lettore di rendersi conto che i nostri parenti più prossimi non solo hanno capacità comunicative, di pensiero e di astrazione assolutamente impensabili fino a qualche decennio fa, ma che sono dotati di sentimenti, di sensibilità, di capacità che più di ogni altre venivano considerate in passato prettamente ‘umane’; è anche uno spunto per riflettere su quanto l’uomo sta compiendo sui simili di Koko, e sulla necessità di tutelare l’ambiente e la natura che ospitano i nostri ‘cugini’, anche perchè, grazie a lei, ci siamo ulteriormente resi conto di quanto essi ci assomiglino.

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Koko fa il gesto ‘amore’ alla vista di un gattino. Il gorilla ha avuto numerosi animali domestici, che ha sempre curato con grande affetto; il suo preferito era All Ball, un gattino. Quando questo morì, investito da una macchina, Koko rimase estremamente addolorata.